Belgio

Belgio

La sceneggiatura di massima e le motivazioni e di questo film e di un film in generale sono presenti nell’omonimo testo del 2006 di cui riporto la quarta di copertina. “Siamo in Belgio. Siamo ai nostri giorni. Lui il protagonista è grasso. Giovane com’è è grasso. E buongustaio. Forse è nero. Forse è gay. Sogna Torino. Per la cioccolata. Corre. Ma non ne ha il fiato. Prepara cenette a base di birra e formaggio. Non suona in gruppi rock. Non ha molte frequentazioni. Ha un computer. Ha giovane com’è un lavoro. Ha giovane com’è e anche se sporca e anche se vecchia una casa. Una casa tutta sua. È orfano. Non legge libri. Non guarda film. Non legge libri che non siano gastronomici. Non guarda film che non siano porno”.

Il lavoro a partire da questa narrazione dove non accade niente se non la rappresentazione di una vita che seppur al minimo vive dovrebbe consistere più che altro nello stile delle inquadrature. Ecologicamente il contenuto del film e in parallelo a quanto dovrebbe accadere in letteratura dovrebbe risiedere nella forma. 90 inquadrature spigolosissime immobili e decentrate. Un angolo di taglio deve entrare addosso allo spettatore e se qualcosa si muove in scena dovrebbe muoversi ripreso da un obiettivo spietatamente immobile accasciato decapitato. Ma appuntito e con veemenza l’immobile l’accasciato il decapitato. La telecamera pur nella totale assenza di musiche deve urlare a forza d’inquadrature micidiali. L’inquadratura deve sfasciare lo spettatore. Fargli strabuzzare gl’occhi. Lo spettatore deve strabuzzato mettere incinta l’inquadratura. Ciò che è inquadrato deve venir inquadrato senza tempi e spazi antropocentrici antropomorfi narrativi soggettivi. Tutto oggettualità immanentissima. E così ecologia. Devono darsi inquadrature o prospettive di per sé. Riprendendo quel che c’è c’è senza soggetti né attori principali ma con voci fuoricampo e parti pezzi quarti di cose di membra. Dev’essere un violentissimo lasciare a se stesso il mondo. Il coinvolgimento in questo abbandono che spiomba dovrebbe dare all’ignorante e antiecoligico spettatore un senso di fine dello spettacolo e dell’aspettare e un coinvolgimento pertinace costrittivo e disagiato. 90 inquadrature. 1 minuto inflessibile a inquadratura. 90 minuti senza capo né coda non perché caotici ma perché darwiniani o geologici.

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