Contro il cinema. Come distinguere l’arte dalla non-arte senza essere crociani

Contro il cinema. Come distinguere l’arte dalla non-arte senza essere crociani

Abstract

Con molti ma piani riferimenti bibliografici si prova a mettere in discussione parte dell’estetica del nostro mondo ritenendo che ingiustizie in questo settore si ripercuotano in tutti gli altri. Siccome il mondo è ecologicamente interconnesso.
L’ingiustizia estetica che poi diventa politica e culturale e ambientale è la considerazione del cinema come arte. Nel testo si sostiene che né il cinema né le forme di espressione popolari sono arte. E che il trattarle come se lo fossero è la causa e l’effetto del cattivo comportamento della società in molti altri suoi ambiti. Forse in tutti.
Il cinema viene vissuto in concreto. Nei suoi aspetti più materiali. Le immagini. I supporti tecnologici. Nei suoi aspetti più esistenziali. Il tempo e le scelte e le sensazioni delle persone che ne fanno esperienza. Non solo delle persone ma anche e per quanto è possibile parlarne degli animali e degli oggetti e del paesaggio.

Ecco in materia la premessa del 2006 a Belgio:

Ho sempre disprezzato il cinema. Anche per partito preso. Mentre lo amavano lo amano tutti. Anche per partito preso. E ammetto che non c’è altro all’infuori del partito preso. Scriverò un libello dal titolo – Contro il cinema. Non ritengo il cinema arte. Né i registi artisti. Tanto meno i registi che usano il sonoro le musiche. Quest’uso accomuna tutti i registi dal 1928 o giù di lì in poi. Il cinema per quello che vale come forma di espressione come mezzo vale solo grazie all’immagine ferma o in movimento e non ad altro. Quest’altro qualunque cosa di volta in volta sia non è cinema è corruzione alibi maschera camuffa ipocrita. Il cinema si serve s’alcoolizza di canzoni di musica popolare che chiama e celebra come colonne sonore. Siamo al peggio del peggio. Una non arte con un’altra non arte in coppia ad accoppiarsi spalleggiarsi vicendevolmente e che presuntuose con l’appoggio di tanta troppa e povera passiva ovina gente festeggiano la loro falsa falsa quanto sponsorizzata artisticità. Lo stupido il conformismo il non saper che fare che dire – regnano. Il cinema se vuole dimostrare di essere qualcosa di più che semplice mera espressione che semplice mero mezzo deve essere e stare muto. Ed esprimersi e vivere di muto rigorosamente. Rimane sempre il problema dell’intermediario del tecnico. Del fatto cioè – tecnicità o artisticità? – se sia possibile ammissibile giustificabile considerare arte quanto percentuali alla mano è così stretto alla tecnologia così stretto molto più stretto alla tecnologia rispetto alla vera arte alla pittura o alla musica – classica essendo l’unica artistica. Non ritengo il cinema arte. Né i registi artisti – troppo poco studio al di fuori della macchina da presa troppe poche cose e troppo poco profonde troppo poco universali da dire che si possono dire con quel poco studio al di fuori della macchina da presa e con il resto dello studio che è quasi tutto incentrato sulla macchina da presa sulla tecnica cioè sulla tecnica non loro dei registi ma della macchina di una macchina di un filtro di un ferro subito vecchio di un oggetto esterno extrapersonale. Il cinema è più mezzo che fine. E ha bisogno di schermi inoltre e di supporti e di supporti per la riproduzione perennemente di supporti ha bisogno. Il cinema ha bisogno perennemente di essere supportato sorretto. Per fare un film poi è impossibile essere in uno in uno solo. Il Partenone le sinfonie di Beethoven per queste cose basta uno uno solo a progettare e scrivere – anche sordo il musicista anche sordo il musicista – sul pentagramma. Ed è questo uno – l’artista – non non il contorno non chi in seguito esegue e costruisce assembla coi marmi il Partenone e coi violini di Crema e le bacchette le sinfonie di Beethoven. E il cinema sonoro costringe anche costringe più di tutto costringe orecchi occhi vuole cervelli attenzioni attenzioni tantissime da non poter far altro durante la proiezione non poter dire niente non poter chiudere gli occhi un momento nemmeno un momento come dovessimo lasciarci trasportare invadere prendere da schiavi come dovessimo lasciarci aggiogare invadere invadere passivi stolti obbedienti disponibili inermi inermi e vermi ridicoli vermi in contemplazione mistica. Ogni volta che guardo un film è come mi sentissi dare dello stupido è come mi sentissi sodomizzare (privare dell’identità) è come se mi crollasse tutto il tempo tutto il mio proprio tempo e via il tempo il vivere si perdessero per l’acquaio per l’acquaio in quel canale tubo orifizio nero pésto di glu glu. Io che sono contro l’ascolto che sono contro l’ascolto che non ascolto nemmeno uno che mi parla a voce. Che svio se c’è una ressa e tutti a vedere l’ambulanza. A immortalare l’azione che non mi importa nulla nulla di immortalare. Perché io tanto lo so che non importo in fondo nulla a lei. All’azione importa solo di se stessa di agire di compiacersene. Ma almeno il mio di applauso di occhio di spalla – no.
I film li guardano gli esseri passivi. Concavi. Succubi. Conformabili e in attesa perenne e a volte malgrado loro poetica (loro muse) di imbeccata. Esseri in attesa di una qualche nuova tonalità omologabile in cui stringersi. I mentecatti li guardano i film. Gli handicappati d’esistenza. Quelli che soffrono la solitudine – cosmica e non (ai più basta la solitudine di quartiere per sfracellarli). L’artista non guarda film. L’artista non guarda. L’artista lo crea lui il mondo che poi saranno gli altri i non artisti a guardare (e giudicare casomai). Figuriamoci (l’artista non guarda) se la creazione artistica è conciliabile col vedere da plagiati film. Coll’ammettere – figuriamoci se è conciliabile – mondi predisposti da altri e per di più da altri che non sono nemmeno artisti. Non insegna neanche a creare – vedere film (come invece insegna o può – vedere opere d’arte. Il cinema al pari del teatro non è arte poi anche perché il regista quello che dovrebbe essere l’artefice manca di un controllo sufficiente sulla propria opera – troppo ampia e irriducibile la libertà degli attori troppo il loro peso e troppo incontrollato. Pittore e scrittore hanno molto più controllo controllo sovrano di quello che fanno. Sanno quello che fanno. È tutta farina del loro sacco la loro opera che per questo è artistica davvero. E se il musicista che compone ha bisogno di chi esegue questo che esegue è sotto vincoli ben maggiori di chi recita. E poi l’arte musicale sta soprattutto nel pentagramma. Mentre il cinema non può certo starsene nella sceneggiatura – che è scritto e non scena). Solo chi non è in grado di crearsi un mondo a propria immagine e somiglianza e non-artista non è in grado nemmeno di condividere i mondi creati dagli artisti soltanto questi soltanto questo soltanto questi qui questi minorati vanno il sabato e fra settimana in abnegazione e pretenziosi – al cinema. I professori universitari che hanno fallito vanno al cinema. Che hanno fallito nel divenire filosofi o non ci hanno neanche mai provato. I ragazzini e le ragazzine di venti/trent’anni che hanno fallito nel divenire romanzieri o giornalisti cult vanno al cinema. Che hanno fallito nel divenire adulti – perché anche nell’essere bimbi fallirono. Salvavita salvagente il cinema che a forza di professori e mocciosi che a forza di obbrobri diviene istituzione addirittura finanziabile se non finanziata dallo Stato. Come gli ospedali. Per garantire la salute pubblica – istituzione il cinema. Senza cinema professori e mocciosi diverrebbero più depressi di quanto non siano. E allo Stato sotterrare suicidi o incerottare chi fallisce anche in questo – costa. Invece grazie alla norma vigente professori e mocciosi se ne vanno al cinema e se ne tornano alle loro casupole al loro quotidiano col sorriso spicciolo degli uomini di buona volontà. Che cosa hai fatto sabato? Sono andato al cinema. E la domenica si resta in vita si vive di rendita si vive di uno sciocco escamotage. Pronti e fedeli per il lunedì si resta (quasi baciato il lunedì quando viene. Come la luce dopo il tunnel. Come assurde talpe che bramino il Sole e vi si abbronzino. Come se i giorni avessero un nome un santo – un senso e peso al di fuori di essere fatti di quelle ore e maree di cui sono fatti). O d’estate d’estate il meriggio e d’inverno d’inverno le sere con gli amici e i cari (mocciosi e professori hanno per stampelle e pezzòle amici e cari) – in tutte queste fasce di tempo e in molte altre un bel videoregistratore un bel DVD. Anche a nolo il lungometraggio. Lungometraggio che tanto non fa niente. Non nuoce non (voyeurismo) compromette. Anzi un po’ di sangue in pixel via cavo e un po’ di lacrime sempre in pixel e pulite il conformismo la convenzione li rinfrescano quasi e li rendono addirittura più accoglienti quando alla fine della pellicola vi si ritorna con piglio intellettualoide. Mongoloide cioè – dal mio punto di vista. Che cosa vuol dire questo film? – una voce da oca e tutti che si improvvisano critici cinematografici col monito sacro e quindi anche solo per questo antiscientifico e antifilosofico e superstizioso del de gustibus. De gustibus non est disputandum. Scritto e detto a caratteri cubitali – per giunta. E scambiato con la democrazia – per giunta.
Tralascio altre meschinità stupide del cinema. Prima fra tutte il sesso la scena d’amore amore inteso come sesso. Sin dagli inizi non c’è film che non presenti una o più di queste scene. E ciò in maniera via via più ipocrita – progredisce l’ipocrisia con la liberalizzazione dei costumi a seguito di fisiologici  interventi legislativi come il divorzio o la non perseguibilità della sodomia – perché il cinema il film da un lato per un verso sembra ritenere imprescindibile il sesso la scena d’amore e infatti la presenta ripresenta puntualmente ogniqualvolta e dall’altro per altro verso o lato esibisce queste scene ammiccando moncandole coprendo sfumando. No. (E per seguire la logica plinio-traianea). O il sesso è importante e allora si fa vedere il sesso si fa sesso dall’inizio alla fine dell’atto coi membri e le interiora fino allo schizzo e alla tristezza post coitum. O il sesso non è importante e allora niente. Ci si può ricollegare con questo anche alla alle colonne sonore. Oltretutto – oltre che non artistiche oltre cha spesso scelte senza gusto e originalità – regolarmente e contraddittoriamente cioè ipocritamente o stupidamente tagliate sfumate.
Il cinema tuttavia – e proprio perché in mancanza di meglio ancora oggi soprattutto oggi viene fatto passare per arte come in mancanza della musica classica morta viene fatta passare per arte la musica popolare – impera nel mondo dove sono nato. E io soffro di manie da imperatore. Pur di arrivare al maggior numero possibile di sudditi sarei stato disposto sarei disposto almeno a giorni se non altro a giorni a fare un film. Non ne ho cercati né trovati i finanziamenti. I film sono la cosa più dispendiosa tanto costosi quanto coinvolgono a farli a vederli e a distribuirli persone e persone (comparse e comparse). I finanziamenti il primo problema il primo problema a pari merito con l’altro di base. Saper usare una macchina da presa. Non so usarla. Né ho voluto imparare.
Quanto segue è la sceneggiatura del film di cui non sono stato il regista. Di un film che non c’è stato e che quindi non ha potuto entrare in lizza per il successo candidarmi ad imperatore anche solo stagionale o almeno di nicchia dell’audience almeno di nicchia e dei parenti almeno dei parenti almeno degli amici. Che si muovono parenti e amici si fanno riconoscere da funghi funghi pronti a sortire a scappellarsi in tutte le stagioni pioggia o gelo solo se ci sono i presupposti e questi ci sono solo quando uno impera – solo se. Quanto segue è il codice genetico di un aborto. E anche il mio mai nato impero è abortito sta abortendo.

Ecco sempre in materia uno stralcio de I compilatori (2008):

In questi giorni mi sono chiuso in casa. Neanche in casa mia. In casa d’un parente. Il parente non c’era e io avevo a disposizione il suo divano. Un divano con davanti lo schermo televisivo.
Ho sempre disprezzato il cinema. I film. Perché tutti amano il cinema. Perché tutti pensano che il cinema sia arte. Nella nostra epoca il vuoto dell’arte è stato colmato dal cinema e dalle canzonette. Ma il cinema e le canzonette non essendo per definizione arte essendo per definizione cosa del popolo cosa per tutti e da tutti non possono colmare nulla. Possono soltanto illudere di. E questa è ipocrisia. L’ipocrisia della nostra epoca (una delle).
Io sono contro il cinema. Penso che il cinema faccia male all’uomo e faccia male alla società. Come la benzina. Però salgo in macchina e guido e vado perché il mondo oggi è questo e senza guidare e senza andare non ci si vive non ci si.
Chiuso per giorni e giorni in casa senza nessuno senza parole non ho avuto scelta. Per vivere in questo mondo anch’io mi sono dovuto dare al cinema mi sono dovuto. Ai film. Quasi come si trattasse d’uno scenario quasi. Quasi come si trattasse del paesaggio. Di ciò di cui nel mondo odierno non possono non riempirsi gl’occhi gl’occhi di chi ci vive in questo mondo. Al pari delle canzonette di cui non possono non riempirsi gl’orecchi gl’orecchi di chi ci vive in questo mondo. La vita è tutto un riempire è tutto un essere riempiti. Eccola spiegata la metafora del fardello.
Se il riempimento è inevitabile quanto resta di libero ed autonomo è digestione è. È il come digerire. L’analisi che segue è la mia digestione di quanto oggi è inevitabile mandar giù di quanto oggi è inevitabile che non riempia che non ci riempia tutti non ci riempia.
Questa digestione così sgradevole s’ha un valore ha quello di mettere in guardia. Di mettere in guardia il futuro consigliandogli vivande diverse assai dal cinema.
Mi ci stravacco sul divano e nessuno mi dice niente. Il frigorifero è pieno di roba. Al telefono non rispondo. Acqua pulita in bagno eccetera. Il parente lo so che tornerà fra giorni e giorni. Così inizia così è iniziata la vita di me al chiuso ed i film. I film che si trovano sullo scaffale del mio parente. Come un ubriaco enfio li prendo li prendo a casaccio e messili su e dopo averli assimilati quello che scrivo qua sotto equivale a succo gastrico al succo gastrico d’una digestione per la sopravvivenza.
Quel che è peggio è che nel chiuso nella condanna al senz’arte e nella solitudine e con questa tassa riprovevole fra tecnologia e convenzione ch’è il cinema ch’è il film ebbene in tutto questo non ho sentito non sento la mancanza o il desiderio di niente di diverso. E non per merito uno qualsiasi del cinema ma per demerito del diverso. Dell’eventualmente diverso che può esserci al mondo. Una compagnia maschile o femminile una nuotata un gioco un sorriso.
Il mio occhio può disgustarsi ma sempre occhio è. L’immagine che ci sbatte contro è immagine che ci sbatte contro. Il riverbero materico che ci sfarfalla sopra è riverbero materico che ci sfarfalla sopra. La polvere che c’entra e da cui non si distingue è polvere che c’entra e da cui non si distingue. Teleschermo o presa diretta o occhi chiusi fa lo stesso. In ciò sta tutto il filosofico da me concepibile ed ammissibile.

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